“Tra i binari”: Andrea Mazzucotelli (Comitato viaggiatori Tpl Saronno) racconta Fili

SARONNO – Quinta puntata di “Tra i binari” lo spazio che ilSaronno dedica al Comitato Viaggiatori TPL Nodo di Saronno. Oggi il portavoce Andrea Mazzucotelli si dedicata al tema al progetto Fili
Nell’ambito dei recenti piani di sviluppo urbanistico e infrastrutturale per la Ripresa dalla pandemia, che vanno inevitabilmente, ma anche correttamente, a sovrapporsi e intersecarsi con quelli per le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026, è emersa nella Nostra Regione la forte volontà di alcuni gruppi di investimento e degli enti pubblici di recuperare alcune pertinenze ferroviarie con la possibilità di “ricucire il tessuto urbano” e con tutti i connotati economici (immobiliari) del caso.
In particolare, il giorno 2 luglio, con il contributo delle Autorità Regionali e delle Amministrazioni Comunali interessate, FNM Group S.p.A. (Finanziaria del Nord per la Mobilità) ha presentato il progetto “Fili” (https://fili-fnmgroup.it/), che prevede una serie di interventi lungo il corridoio aeroportuale “Milano-Malpensa”:
- Milano Cadorna: realizzazione di una “Foresta sintetica pensile” da 72 000 m2 a copertura della sede ferroviaria; investimento di 50 milioni di euro dal “Piano Lombardia”;
- Milano Bovisa: nuova sede di FNM; l’intervento si sovrappone a quello di potenziamento infrastrutturale che abbiamo presentato il mese scorso;
- Saronno: riqualificazione stazione e polo infrastrutturale tecnologico-manutentivo, come concordato con il Comune; investimento di 35.5 milioni di euro dal “Piano Lombardia”;
- Busto Arsizio: riqualificazione delle aree dismesse dall’interramento della stazione (39 500 m2);
- Piantumazione di 14 000 alberi in 24 comuni;
- Superstrada ciclabile lunga 72.7 km da Milano Cadorna all’Aeroporto di Malpensa.
Insieme a questi progetti, senza alcuna formale correlazione ma per affinità tipologica, si vuole citare anche il recupero dell’ex scalo di Milano Porta Romana (https://www.scaloportaromana.com/), per l’ottenimento di 164 000 m2 edificabili e 100 000 m2 di parco, convertendo così una zona di degrado dapprima nel Villaggio Olimpico 2026 e poi, si auspica, in un nuovo cuore pulsante per la Città (oltre al ritorno immobiliare, evidentemente).
Per quanto ovviamente l’incremento del verde e l’attenzione alla mobilità dolce che contraddistingue questi progetti siano senz’altro positivi, occorre una riflessione sul ruolo che, oggi per il prossimo domani, si vuole dare alla ferrovia.
Nel bene o nel male deve essere valutato l’impatto (nullo, positivo, negativo) che questi interventi possono avere su chi ancora si ostina a utilizzare il treno insieme agli altri mezzi pubblici per muoversi, andando a scuola o al lavoro ma anche per visitare amici e parenti o partecipare a una festa.
In generale, la percezione della ferrovia “che si vede” come un elemento di fastidio per i cittadini e sfavorevole alle imprese immobiliari (vista ritenuta meno pregiata, rumore, in generale un’immagine di degrado data alla ferrovia che è squisitamente italiana) impone di essere molto cauti e, qualora necessario, critici, su questi progetti di “recupero”.
Ricordiamo che nella ferrovia italiana, in particolare per quanto riguarda le Ferrovie dello Stato, dopo il risanamento del Gruppo (effettivamente avvenuto al termine del decennio 2000, con buona pace del Divo Giulio), prevale la filosofia della “rete snella”, ossia ridurre al minimo le discontinuità e le sovrapposizioni lungo le ferrovie per contenere i costi; questo all’atto pratico comporta che su una linea ferroviaria che presenta sistemiche criticità di circolazione non è quasi mai possibile, se non dopo percorsi di finanziamento e progettazione lunghi anni, aggiungere quello scambio, quel segnale, quella ridondanza dei sistemi di sicurezza che aiuterebbero a risolvere i colli di bottiglia facendo perdere ai viaggiatori meno tempo tutti i giorni.
D’altra parte, nella prospettiva della ferrovia “brutta da vedere”, non è infrequente che cittadini non utenti, infastiditi da essa, e impresari edili, affamati di metro quadrato di alto valore, vengano a richiedere in modo più o meno diretto interventi stimabili in cifre folli (anche da 9 o 10 zeri), che dovrebbe pagare lo Stato (o la Regione), così da abbassare / interrare le ferrovie e, per l’appunto, “ricucire il tessuto urbano”.
Soldi che, per motivazione politica, può risultare molto più semplice reperire che per i miglioramenti alla circolazione, dal valore nominale inferiore: nell’ordine del milione di euro per interventi puntuali, fino a qualche decina di milioni per adeguamenti di intere linee o per nuove stazioni, raddoppi e quadruplicamenti nell’ordine dei 100 milioni. Le cifre possono sempre apparire ingenti alla maggior parte dei cittadini, ma sono comunque più sostenibili rispetto a un intervento drammatico come un interramento, e finalizzate a migliorare la ferrovia, invece che a nasconderla.
Possono essere citati diversi esempi negativi di questo genere:
- Ferrovie della Riviera Ligure, ormai interrate e allontanate dalla costa in ampi tratti; oggi molto più funzionali in termini strettamente ferroviari ma lontane dai centri storici e non necessariamente collegate agli stessi con altri mezzi pubblici; se non fosse per la “rete snella” si sarebbe potuta mantenere la ferrovia storica, con minor traffico, per i collegamenti locali (come le Ferrovie Federali Svizzere che hanno mantenuto attive e servite le linee storiche del Gottardo e del Ceneri dopo aver inaugurato i rispettivi tunnel di base, per non isolare i paesi);
- Interramento di Castellanza, che per un certo guadagno di tempo nel collegamento Milano‑Malpensa ha privato dell’accesso a un servizio fondamentale quella città, spostandone il baricentro nella periferia al confine con Busto Arsizio;
- Interramento di Induno Olona, che ha effettivamente ricucito il paese ma senza che si sia valutato come utilizzare gli spazi della vecchia stazione di superficie (prato incolto); poco male, se solo la fermata attuale non si trovasse a una profondità di quasi dieci metri, risultando di accesso assolutamente non agevole agli utenti senza problemi di deambulazione e praticamente impossibile ai disabili qualora non funzionassero gli ascensori.
Ritornando a “Fili” dopo un inquadramento generale, si può rilevare che:
- L’intervento di Milano Cadorna non va a diretto vantaggio degli utenti ma nemmeno sembra penalizzarli e potrebbe portare effettivamente a un miglioramento estetico e funzionale della città (anche per la gioia di qualche speculatore); un peccato “sentimentale” non vedere più la luce del sole dall’interno; da verificare se varieranno in qualche modo i percorsi di accesso ai binari;
- L’intervento di Milano Bovisa è di natura prevalentemente privata e aziendale ma potrebbe portare a opere di urbanizzazione e infrastrutture collaterali utili anche agli utenti; molte aspettative si ripongono nel potenziamento infrastrutturale; si auspica che l’accessibilità della stazione migliori significativamente rispetto a oggi (scale esterne scomode e dal passo disomogeneo, che non sembrano pensate per l’utilizzo umano, sia sul lato est, sia sul lato ovest); Bovisa dovrà diventare un polo di interscambio di stampo mitteleuropeo;
- L’intervento di Saronno è stato ampiamente dibattuto ed è ormai noto in città: una serie di progetti davvero positivi, anche se dovrebbero essere sviluppati ulteriormente alcuni aspetti quali strategia dei parcheggi, stazione di Polizia Ferroviaria, dialogo con il contemporaneo recupero delle aree Cemsa e Isotta Fraschini, con modalità che agevolino al massimo l’accesso alla stazione e l’interscambio con tutti gli autobus;
- L’intervento di Busto Arsizio va a sanare una situazione lasciata in sospeso da 25 anni: anche qui l’intervento sarà tanto più positivo per chi utilizza il treno, e non solo per gli investitori, quanto più si saprà favorire l’intermodalità (autobus, bicicletta, kiss & ride) a discapito della pura speculazione e della sosta parassitaria;
- La superstrada ciclabile è paradossalmente l’intervento che pone i maggiori interrogativi: di fronte a un servizio ferroviario aeroportuale i cui treni dedicati non vengono pellicolati dal 2012 e mostrano in alcune parti la cassa metallica di color grigio-marrone, non annunciano quasi mai le fermate a beneficio di residenti e visitatori; con l’app ufficiale del servizio di trasporto che non è in grado di distinguere chiaramente il Terminal 1 e il Terminal 2 ingenerando possibili fraintendimenti in chiunque non sia già a conoscenza del servizio, dove le biciclette a bordo non sono mai accolte in modo particolarmente favorevole; se il servizio ferroviario lungo una direttrice di “eccellenza” mostra queste e altre mancanze e inefficienze, la creazione di una modalità alternativa sullo stesso percorso, su iniziativa del medesimo gruppo di investimenti appare quasi irridente nei confronti di chi vuole muoversi in maniera davvero più intelligente e sostenibile e sembra contraddire la logica della mobilità dolce come afferente (non alternativa!) al servizio ferroviario su spostamenti di scala regionale; nella iniziale vaghezza di questo progetto si auspica possa essere maggiormente valorizzata la possibilità di accedere al servizio ferroviario e non tanto la presenza di un itinerario ciclabile Milano-Malpensa che nessuno forse percorrerà mai interamente nella propria vita quotidiana.
In buona conclusione, se è possibile una morale in tutto questo, questa si può proporre: ottima la retorica del verde, della mobilità dolce e delle ricuciture urbane (con evidenti vantaggi per i cittadini e non solo), ma non bisogna farsi trascinare troppo dall’idea, più o meno esplicita, di ferrovie-plastico e di città‑modellino concentrandosi invece su quella di città e ferrovie che sappiano valorizzarsi interagendo tra loro, prevenendo tra l’altro la percezione di degrado e la formazione di sacche di criminalità, e garantendo ai cittadini una mobilità più intelligente, integrata, sostenibile tutti i giorni dell’anno e a (quasi) tutte le ore della giornata. Sviluppo urbanistico, infrastrutture, servizi, sono concetti che devono essere distinti, ma mai scissi e sempre portati avanti contestualmente.
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Commenti
Spendere soldi per creare disagi durante i lavori e poi avere strutture obsolete alla fine dei lavori non avrebbe tanto senso.
Investire sulla conoscenza per migliorare il servizio.
L’apice del disagio si è raggiunto quell’anno che il sistema di controllo è andato in tilt, magari investire per sul miglioramento dei sistemi che già ci sono…