Saluti alla “storica” caposala dell’Ospedale di Saronno: l’intervista a Catia Picozzi

SARONNO – Riceviamo e pubblichiamo dalla pagina web di Asst Valle Olona l’intervista a Catia Picozzi, storica (oltre 40 anni) caposala del reparto di Endoscopia Digestiva dell’ Ospedale di Saronno, giunta al suo ultimo giorno di lavoro, che andrà in pensione dal 1° ottobre).
“La storica Coordinatrice Infermieristica dell’ U.O. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva di Saronno va in pensione tra ricordi e orgoglio.
Catia Picozzi, classe 1961, ha trascorso una vita all’ Ospedale di Saronno, dove ha vissuto diverse situazioni, piacevoli o meno . Dal 1° ottobre va in pensione. “Catia ha contribuito alla nascita dell’ endoscopia a Saronno 40 anni fa e per tutto questo tempo ha lavorato affinché raggiungesse gli alti livelli ai quali ora è giunta”, dice di lei il collega Alfredo Puzzello.
R.W.: Catia, partiamo dall’ inizio. Perché hai deciso di fare l’ infermiera, come e quando sei arrivata qui a Saronno, in quali reparti hai lavorato…
Catia: Il mio sogno sin da bambina è sempre stato quello di aiutare gli altri; così, dopo aver frequentato due anni di Ragioneria, ho iniziato a frequentare il corso presso la Scuola Infermieri dell’Ospedale di Saronno nel settembre 1977. Ricordo che ero solo una ragazzina, ma con tanta passione e voglia di diventare un’infermiera. Fin dall’inizio della mia carriera ho lavorato nel reparto di Chirurgia, dove nell’ottobre del 1980 mi hanno successivamente proposto di iniziare l’attività di Endoscopia con il dottor Griffa . Negli anni successivi si sono uniti al Team il dott. Galli, il dott. Meroni, il dott. Tassan ed infine, negli ultimi anni, le nuove leve: il dott. Pariani, il dott. De Luca ed il dott. Ballerini.
R.W.: Cosa ricordi dei primi tempi in Endoscopia Digestiva? Hai avuto qualche “maestro” particolare?
Catia: Ricordo che all’inizio avevamo unicamente un gastroscopio a fibre ottiche che permetteva la visione solo al medico. No, non ho avuto nessun Maestro in particolare; la mia formazione è avvenuta in modo autonomo, in itinere, sul “campo” .
R.W.: E oggi come lasci il “tuo” reparto? Lo definiresti un’ eccellenza?
Catia: Oggi lascio il mio reparto con infinita tristezza nel cuore, ma con la consapevolezza di aver formato un’equipe molto valida, in grado di proseguire l’attività in maniera eccellente. Colgo l’occasione per ringraziare tutto il personale per la costante presenza e disponibilità e per aver condiviso gioie e dolori negli anni trascorsi insieme.
R.W.: Durante questi anni di servizio ne avrai viste di tutti i colori; scegli tu se raccontarci un episodio lieto, un episodio triste, una curiosità…
Catia: Tra gli episodi lieti ricordo sempre con molta gioia la festa di Natale che ogni anno eravamo soliti organizzare in reparto, mentre tra quelli tristi ricordo purtroppo un episodio che ha segnato tutta l’equipe, ovvero la malattia e la morte del nostro carissimo infermiere Pietro.
R.W.: Dell’ esperienza Covid in particolare cosa ci puoi dire?
Catia: l’esperienza Covid ci ha segnato profondamente. E’ stato un periodo difficile, fonte di ansie e paure. Questa esperienza mi ha dato però la conferma di essere parte di un gruppo che lavora con grande professionalità e sempre con il sorriso.
R.W.: Adesso ci dobbiamo salutare; ma per una persona attiva ed energica come te “pensione” non equivale sicuramente a “ non fare nulla”! Hai qualche progetto, anche solo a livello familiare?
Catia: Dedicherò più tempo alla mia famiglia e spero di diventare al più presto nonna!
R.W.: Grazie per tutto quello che hai fatto, Catia! “
29092020
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Commenti
Auguroni Catia buona vita. Il bello inizia adesso divertiti. Ti ringrazio per quello che hai fatto per me. Un abbraccio
Purtroppo ora la scuola di infermieri c’è solo a Busto, a Saronno non c’è più.
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la “scuola per infermieri” non esiste più, ora c’è il corso di laurea in scienze infermieristiche, cui si accede previo conseguimento del diploma di scuola media superiore (liceo, istituto tecnico o professionale) e superamento di un test d’ingresso molto selettivo. Al termine dei tre anni, viene rilasciato il titolo di “dottore in scienze infermieristiche”, che consente l’esercizio della professione e/o l’iscrizione a un corso di laurea magistrale. Uno dei Poli dell’Università degli Studi di Milano è effettivamente c/o l’ospedale di Busto ma, nel glorioso 2020, l’infermiere è un sanitario laureato e con una formazione assolutamente non paragonabile a quella che si acquisiva con il vecchio “mansionario” e la “scuola di infermieri”.
Premesso ciò, le infermiere della leva della signora Catia sono state, anche se in un altro reparto di un altro ospedale, le mie prime vere maestre e a loro va il mio ringraziamento, ma la formazione che c’è adesso è un bel po’ diversa.