Visto da Varese: Emergenza pandemia, tornano a pesare i confini fra territori

di EZIO MOTTERLE
Amarcord di quando i cartelli stradali collocati come segnaletica verticale per indicare l’inizio o la fine di territori comunali, provinciali o regionali, venivano osservati distrattamente, a volte con curiosità, mai però derivandone un senso di limitazione al libero spostamento. Nessuno avrebbe immaginato che un anno di emergenza sanitaria avrebbe assegnato a queste consolidate suddivisioni geografiche, considerate a lungo poco più che simboliche, il senso di una barriera in grado di alzare persino un confine invalicabile. L’esigenza urgente di fronteggiare la pandemia sulla base di dati epidemiologici strettamente legati a singole zone ha ridato peso alle aree amministrative, fondamentali per circoscrivere livelli di contagio e per conseguenza di mobilità. Le geografia della lotta al covid ha reso insomma tutt’altro che trascurabili i passaggi da un territorio all’altro, la mappa dei colori utilizzata per definire meglio le restrizioni ha costretto un po’ tutti a guardare con la massima attenzione quei cartelli, riconsiderando le precise suddivisioni tra Comuni, Province e Regioni. Per non parlare ovviamente delle frontiere tra Stati, credute anch’esse un concetto superato sull’onda degli accordi di Schengen, vedi per il Varesotto il confine con la Svizzera trasformatosi oggi (fino a quando?) da fattore marginale a barriera valicabile solo a precise condizioni. La decisione di attivare zone rosse o arancio a livello locale, “isolando” non più solo aree regionali, ma anche comunali o provinciali, ha rafforzato l’esigenza di un rapido aggiornamento generale che prenda atto di questa separazione divenuta tutt’altro che virtuale. Senza contare che la norma legata agli spostamenti da Comuni con meno di 5mila abitanti ha anche costretto ad allargare lo sguardo alla demografia territoriale. Amarcord insomma (ma quanti ricordi e rimpianti si affollano in questa lunghissima emergenza?) di una libertà di movimento simbolo della condizione perduta di normalità, quando nessuno vedeva problemi in quei vistosi cartelli, a volte accompagnati dalla traduzione in dialetto o lingua locale, mai comunque evocatori di insormontabili barriere. Geografiche ma anche psicologiche.