Uboldo, il sindaco celebra i 50 anni dell’oratorio

Ecco, in sintesi, l’intervento del primo cittadino
Auguri al mio oratorio che ha compiuto 50 anni dalla posa della prima pietra e auguri alla nostra Uboldo. Mi tornano alla mente le parole del signor Sandro durante la settimana del Palio: “Sono contento che hai vinto, perchè anche io vengo dall’oratorio. E noi siamo gente così, gente che viene dal niente, gente concreta”. Già, caro Sandro, noi siamo proprio così, “gente che viene dal niente” e che con quel niente ha saputo e sa essere “sale della terra” dentro alla nostra comunità.
50 anni di oratorio, o meglio, 50 anni dalla posa della prima pietra (perchè l’oratorio c’era anche prima), significano una storia, tanti preti, molti cuori, tante mani. La prima fotografia che ho in mente se penso all’oratorio sono i miei 5 anni e i caldissimi pomeriggi d’estate quando, aggrappato alla mia mamma dal sellino posteriore, alle 13 si andava all’oratorio. Scoprii tempo dopo che mia mamma lo fece nonostante don Paolo nicchiasse ad avere per il cortile un bimbo così piccolo (io non facevo nemmeno le elementari) che ogni giorno finiva in infermeria costantemente calpestato dai più grandicelli.
Forse accettò di tenermi lì per il solo ed esclusivo fatto di essere stato il suo primo battesimo. Tuttavia credo ancora oggi che il fatto di avermi affidato all’oratorio sia forse il regalo più grande che mi ha fatto mia mamma, un regalo che conservo ancora gelosamente. E forse anche quello è stato uno dei famosi “puntini” della Provvidenza che anni dopo, guardando indietro, ho potuto unire. Dentro agli occhi di quel bambino e alle cicatrici lasciate dal campo duro dell’oratorio su qualche braccio, e più di tutto dentro alle ferite lasciate anche dal tempo, c’è quest’uomo qui, che se è riuscito in qualcosa nella vita lo deve soprattutto e senza dubbio al suo oratorio, al prete che mi ha cresciuto e alla suora che mi ha sempre accolto come un figlio, ai sacerdoti incontrati lungo il cammino, agli amici, alle persone, alle esperienze di vita che dentro lì ha avuto la fortuna di vivere. Le domeniche trascorse sul campo, i pomeriggi dell’adolescenza a scambiarsi sogni e segreti con gli amici, le mamme del bar, le vacanze in montagna, il coro e la chitarra sul muretto, la luce sempre accesa della Pro Juve anche nelle sere più fredde d’inverno, il Palio.Nella recente omelia di don Samuele ha detto che queste occasioni di festa che “ci fanno tornare all’origine” ci ricordano anche che “noi siamo dentro a una storia”. Ho subito collegato questa frase al saluto di un grande successore di Pietro, il Papa emerito Benedetto XVI che disse “ho sempre saputo che la barca è Sua e non la lascia affondare”. Questo è forse il motivo più intimo, il motore, la risposta alla domanda che anche nei giorni del Palio appena passato qualcuno mi ha fatto:”Vedo tante persone lavorare gratuitamente per gli altri e mi chiedo chi ve lo fa fare…”
Ce lo fa fare l’educazione che abbiamo ricevuto, a prescindere dal nome che portava il nostro prete, un’educazione alla gratuità e all’universalità (cattolica, appunto) che solo l’oratorio ti può dare. Ce lo fa fare un istinto all’amore diverso, perchè ti cambia effettivamente lo sguardo sul mondo Uno che ti dice che “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Ce lo fa fare il fatto che “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Ce lo fa fare la certezza che questa casa che noi chiamiamo oratorio, questo recinto dentro al quale la Provvidenza ci ha messi, è semplicemente il luogo dove noi possiamo allenare al meglio i talenti che ci sono stati dati per poi metterli a frutto dove la vocazione disegnata su ognuno di noi ci spinge perchè “il campo è il mondo”. Con la fortunata e necessaria grande consapevolezza di essere “gente che viene dal niente” e che per questo riconosce sempre che al timone di quesa barca c’è Lui e per questo non può affondare. Auguri al nostro Oratorio e alla nostra comunità!
070814